Novembre 2019 –– MIGLIOR SPETTACOLO e MIGLIOR REGIA –
Premio SCENA.0 2019, organizzato da FITA PUGLIA Finalista del Gran Premio Nazionale del Teatro, in attesa di responso.
Sinossi dello spettacolo:
Rune di Sangue è una “tragedia nordica”. La sua storia affonda le radici nella mitologia norrena, tanto cara a Tolkien, quanto agli intrighi del poema, dall’autore anonimo, Beowulf.
Una maledizione inchioda gli abitanti di Kabur al villaggio.
Ozur, figlio di Loki, dio del caos, è vittima delle profetiche parole di una profezia, e per sventare la sorte, un po’ come Macbeth nella sua tragedia, metterà in croce tutto il suo popolo, affinché il suo destino non si compia e lui possa essere il dio che, a detta sua, merita di essere.
Ma il suo Oracolo più volte gli parla dell’arrivo di questo fantomatico guerriero del Nord, che dovrebbe nascere proprio nel villaggio che Ozur tiene in pugno. Per questo ogni nascituro viene strappato dalle braccia della sua mamma e consegnato alle 3 Norne, corrispettivo delle parche nella mitologia greca, che affidandosi al volere di Yggdrasil, l’albero mitologico, decidono di porre fine alla vita dell’infante.
Ai comandi del perfido signore del caos ci sono alcuni aguzzini, che in qualche maniera sono legati alle sorti degli abitanti di Kabur.
Tutto questo fino al sopraggiungere di un giovane straniero, di nome Nàdar, giunto a Kabur attraverso il richiamo degli alberi, da cui lui sostiene di essere nato. Chi sarà in realtà questo giovane? E se fosse il guerriero del Nord di cui parla la profezia?
Note di regia
Il tipo di taglio dato alla messinscena è quasi filmico. Rendere la storia appassionante con giochi di luci e di spazi, occupati minuziosamente da permettere velocità in alcuni cambi.
La mia intenzione è quella di creare uno spettacolo teatrale che possa sembrare, per certi versi, un film.
Diversi sono i temi riguardanti questa storia: il rapporto genitore/figlio viene messo in discussione sotto diversi aspetti; da una parte l’opportunismo, l’egoismo e il delirio di onnipotenza di Ozur, dall’altra l’amore, il sacrificio e il dolore degli abitanti di Kabur. Questi sono alcuni degli aspetti sottolineati, anche a livello registico. La scena delle mamme, che lacrimano sangue, di fronte all’albero del destino, dove i loro bambini vengono impiccati, suscita shock, ma allo stesso tempo scuote la sensibilità del pubblico. Obiettivo registico.
Il gioco di luci, che viene attuato durante l’intero spettacolo, è anche importante, perché indica gli stati d’animo dei diversi personaggi che si avvicendano sulla scena e questo gioco tra chiaro e scuro confluisce alla messinscena quella dimensione nordica e cupa, in cui la vicenda è inserita.
I colori dei costumi e del trucco di scena sono studiati nel minimo dettaglio, per creare una certa omogeneità con tanto di minima variazione di tono, che abitua la vista ad un continuo imbrunire.
La scelta di inserire il primo dialogo e i canti delle Norne in gaelico scozzese viene messa in atto per dare compattezza alla storia e far sì che il pubblico si senta trasportato davvero in un passato lontano a livello di spazio e tempo.
Molti dei nomi utilizzati hanno significati legati alla natura e alla terra, tutti derivanti dal gaelico, dallo scozzese, dall’islandese e dalla lingua celtica.